di Federica Manzon
“Alma ha l'aria da straniera del nord. Ovunque abbia vissuto l'hanno sempre scambiata per una che veniva da un altrove, c'è qualcosa di provvisorio nei suoi gesti, come se fosse sempre sul punto di partire.”
“Mitizzare il passato, modificare i contorni della realtà, è un esercizio a cui è allenatissima: l'ha imparato quando era piccola e il suo tempo era conteso dalla madre, dal padre e dai nonni materni, mondi antagonisti tra i quali toccava a lei tracciare un filo che non facesse uscire tutti matti.”
“C'era la vita con sua madre, dove il lavello traboccava di piatti sporchi, i posacenere di
sigarette, i divani di ospiti che andavano e venivano riempiendo la casa con cartoni di pizza, bottiglie di vino, accenti della capitale e un'allegria chiassosa. Li dentro lei poteva muoversi in libertà, ma quando le capitava di cadere e di sbucciarsi un ginocchio sua madre non la sentiva, ché la notte era insonne e il pomeriggio recuperava infilandosi tappi di cera nelle orecchie.”
“C'era la vita con i nonni, quella che preferiva, con la cioccolata al Caffè San Carlo e le conversazioni garbate, i quadri a olio alle pareti e i cuscini con scene di caccia sul divano, la convinzione che sarebbe stata lei a ereditare le posate d'argento e i bicchieri Baccarat, il loro modo di vivere elegante e mondano.”
“E poi c'era suo padre, lo slavo, uno spaventapasseri biondo che spuntava all'orizzonte senza preavviso. Suo padre che spariva e appariva, che le insegnava le canzoni malinconiche dei Balcani e le faceva assaggiare lo Slivoviz con la punta della lingua.”
“Un padre che andava e veniva senza che si potesse essere mai sicuri del suo ritorno.”
Un padre, avvolto in un alone di mistero che da bambina la affascinava. A volte la portava su un'isola di là, ed il suo mondo era pieno di angoli bui, di cui non riusciva mai ad afferrarne la consistenza.
“Aveva la prerogativa di rendere magnifici gli istanti, prerogativa dei volubili e degli egoisti o di quelli sempre in partenza verso qualcosa di irresistibile che gli altri, i familiari perlopiù, non capivano.”
E poi c'era Vili. Un ragazzino esule della Jugoslavia, che le era capitato tra i piedi e aveva dovuto farci i conti.
“Alma lui è Vili. Vili lei è Alma.” Le aveva detto suo padre.
Si erano guardati con ostilità. Avevano entrambi dieci anni.
“Rimarrà con noi per un po’.”
Alma ora ha 30 anni, è scappata da Trieste, vive a Roma e fa la giornalista.
Incapace di trovare le sue radici, aveva preferito scappare.
Suo padre è morto e nel testamento le chiede di andare a cercare Vili, che ha qualcosa da darle. Proprio l'ultima persona che vorrebbe rivedere, ma perché suo padre le chiede di cercarlo?
E questo viaggio la costringe a ritornare, a riannodare quei ricordi che aveva accantonato in chissà quale antro della sua memoria.
Arriva a Trieste. “La città è sempre stata vasta sopra le loro vite, sua e di suo padre e di Vili: un punto di attrazione che li ha spinti a tormentarsi, scappare e tornare, alimentando il sospetto in chi li amava di essere solo un accidente funzionale al legame con la città, che dal canto suo ha sempre brillato in questa vocazione – rendere impossibile il restare e lacerante il partire.”
Si ricorda del magazzino 18, al porto vecchio, quando da adolescente era diventato il suo rifugio. “Pieno zeppo di bauli, valige, macchine da cucire, ma soprattutto scatole di vestiti, libri e giocattoli, di fotografie. I tesori degli esuli scappati dalle truppe titine. Un deposito di mondi abbandonati in tutta fretta e mai ricostruiti altrove.”
Con la morte di Tito, il mondo di là ha cominciato a sgretolarsi. Una lenta deriva di due faglie che iniziano ad allontanarsi. Esuli che arrivano con le valige di cartone. E la guerra tra chi, fino a qualche anno prima, erano vicini di casa, artigiani, contadini. E le faglie non sono più due, ma tre e poi diventano quattro. Ma perché?
E sembra proprio che la relazione tra Alma e Vili ripercorra le stesse incomprensioni del mondo di là, che si accartoccia, si ingarbuglia, si lacera fino ad arrivare alla guerra.
Alma, deve fare i conti con il suo passato. Non è più possibile far finta di niente. Deve avere il coraggio di incontrare Vili.
Federica Manzon ci racconta della libertà e della sicurezza, della precarietà e della affidabilità, del partire e del restare.
Ogni parte dell'infanzia di Alma ci parla di come sia difficile restare, so-stare nelle situazioni, di come sia difficile scorgere la verità dietro all'apparire. E forse le radici così diverse di Alma rispecchiano una città complessa: a volte ponte, a volte confine. Capace di accogliere gli esuli, ma anche di rispedirli in nuovi altrove.
Riuscirà Alma a trovare un modo di integrare i suoi altrove?
Immagini create con l'AI