Cambiare l'acqua ai fiori

di Valérie Perrin

Valérie Perrin ci racconta la storia di Violette. Una donna minuta, cresciuta in orfanotrofio e in diverse famiglie affidatarie.

 

“Credo di aver sempre avuto il riflesso istintivo di non disturbare. Da bambina, nelle famiglie affidatarie, mi dicevo: ‘Non fare rumore, così stavolta ti terranno, potrai rimanere.’”

 

“Mia madre non mi è mai mancata, tranne quando avevo la febbre. Quando stavo bene crescevo, venivo su dritta come se l’assenza dei genitori mi avesse applicato un tutore lungo la spina dorsale. Mi tengo dritta, è la mia peculiarità. Non mi sento mai piegata, neanche nei periodi di maggior dolore.”

 

Violette fa la custode del cimitero di un paesino della Borgogna. Si prende cura dei fiori sulle tombe, tiene un registro dei funerali, annotando tutte le informazioni che potrebbero essere utili a chi non è potuto esserci, coltiva fiori da mettere sulle tombe, si prende cura dell'orto e dei visitatori del cimitero.

“Ho due guardaroba, uno lo chiamo “inverno” e l’altro “estate”, ma non c’entrano le stagioni, c’entrano le circostanze. L’armadio "inverno" contiene solo vestiti classici e scuri destinati agli altri. L’armadio "estate" solo vestiti chiari e colorati destinati a me stessa. Indosso l’estate sotto l’inverno, e quando sono sola mi tolgo l’inverno.”

 

“Nella mia casa c’è una stanza che è di tutti, è come una sala d’attesa comunale che ho trasformato in soggiorno-cucina, appartiene alle persone di passaggio e agli habituè.

I venticinque metri quadrati di stanza hanno lo stesso aspetto del guardaroba inverno. Niente alle pareti, niente tovaglia a colori o divano azzurro, niente di ostentato, solo mobili di compensato e sedie per sedersi, tazza bianche, la caffettiera sempre piena e superalcolici per i casi disperati. Qui accolgo lacrime, confidenza, rabbia, sospiri, disperazione e le risate dei necrofori.”

 

Violette ci racconta del suo passato, di quando faceva la custode di un passaggio a livello.

E ci racconta del suo presente, di quando è comparso un poliziotto di Marsiglia che non capisce come mai sua madre, appena scomparsa, abbia espresso la volontà di essere sepolta nella tomba di uno sconosciuto a 400 km di distanza.

 

La storia si intreccia su tre linee del tempo: il presente e il passato di Violette, e il passato della madre del poliziotto.

Nella vita di Violette c'è un dolore immenso che fa da spartiacque tra un prima e un dopo.

 

Valérie Perrin ci racconta di come tornare alla vita dopo un dolore terribile e di come qualcuno si sia preso cura di Violette.

 

“Ho cominciato a bere dalla cannuccia ed ho trovato la bevanda deliziosa. Mi ha ricordato l’infanzia che non avevo avuto, mi ha evocato qualcosa di una dolcezza infinita. Mi sono messa a piangere. Era la prima volta che provavo piacere a mandare giù qualcosa. Non riuscivo a rimanere. Non riuscivo ad andarmene. Non riuscivo a parlare. Ne ero incapace. Ero rimasta in piedi. Le lacrime mi cadevano nel bicchiere del latte. L’uomo ha preso un fazzoletto di cotone, l’ha imbevuto in un profumo chiamato Reve d’Ossian e mi ha detto di respiralo. Ho continuato a piangere come se la diga avesse ceduto, ma le lacrime che ho versato mi hanno fatto bene, mi hanno tirato fuori le cose brutte, il sudore acido, le tossine avvelenate. Credevo di aver già pianto tutto il possibile, ma ne restava ancora, restavano le lacrime sporche, quelle fangose come l’acqua marcia che ristagna in fondo dopo che da un pezzo ha smesso di piovere.”

“Vede quest’orto? Sono vent’anni che ce l’ho. Guardi quanto è bello, guardi le verdure, i colori. Misura settecento metri quadrati, e sono settecento metri quadrati di gioia, amore, sudore, coraggio, volontà e pazienza. Le insegnerò a curarlo …”

 

“Essendosi spenta la via principale, il vulcano era morto, ma sentivo crescere dentro di me ramificazioni e controviali, sentivo quel che seminavo. Mi inseminavo. Eppure la terra desertica di cui ero fatta era molto più povera di quella dell’orto del cimitero, era una pietraia. Ma un filo d’erba può crescere ovunque, e io ero fatta di quell’ovunque. Sì, una radice può attecchire anche nel catrame, basta una microfessura per far penetrare la vita all’interno dell’impossibile. Un po’ di pioggia, un po’ di sole, e spuntano germogli venuti da chissà dove, forse portati dal vento.”

 

“Ed ecco che tornano. Sono come bolle di tenera follia, bolle di gioia che mi risalgono fino alla gola, mi accarezzano la bocca, scuotono la mia pancia dall’allegria e mi fanno scoppiare a ridere. Ignoravo l’esistenza di questo suono, di questa nota all’interno di me. Mi sento come uno strumento musicale con un tasto in più, un salutare difetto di fabbrica.”

 

“E’ da allora che non ridevo così, anzi da sempre. Non ho mai riso come oggi. Riso, pianto, spavento e gioia si annidano in punti diversi all’interno del nostro corpo.”

 

Piano piano Violette ritorna alla vita, e viene spontaneo chiedersi: Violette riuscirà a sognare di nuovo?

 


Immagini create con l'AI