Tutto sarà perfetto

Lorenzo Marone in ‘Tutto sarà perfetto’ ci racconta del ritornare. Ritornare alla casa dell’infanzia nell’isola di Procida dopo vent’anni di lontananza per sfuggire al dolore.

 

Dolore per una madre morta troppo presto e per un padre, comandante di navi, che era sempre lontano e quando c’era, era sempre un comandante.

 

Andrea Scotto, fotografo quarantenne single, non si è mai preso sul serio ed ha fatto della leggerezza la sua difesa.

 

Sua sorella Marina deve assentarsi per un weekend e gli ha chiesto se può stare lui a Napoli con il padre malato a cui rimane ancora poco tempo da vivere.

 

Dopo tanto tempo è la prima volta che è costretto a stare con il padre.

 

“E’ come se la vecchiaia, o la malattia, non so, lo avesse svestito di tutte le sue paranoie e costrizioni che si è portato appresso per decenni. Ora in alcuni frangenti potrebbe risultare addirittura simpatico, e la cosa non so se mi faccia piacere o mi disturbi. Non sono stato un figlio amorevole, proprio come lui non è stato un padre amorevole, e prima che si ammalasse evitavo di venire a trovarlo, se non nei classici giorni di festa (e anche lì, facevo di tutto per scappare il prima possibile). Non ho mai saputo cosa dirgli quando mi trovavo al suo cospetto, mai capito come relazionarmi con un vecchio che non ha voluto accettare le mie scelte, che non ha condiviso nulla della mia vita, e non ha mai saputo donarmi una parola di conforto.”

 

“Eppure, mi accorgo che la malattia lo ha cambiato, oserei dire migliorato, tramutando l’uomo che del controllo e del rigore morale aveva fatto il suo scopo primario in un vecchio finalmente capace di fare e dire ciò che gli passa per la testa. Lui, che non ha mai dato il giusto peso al nome che si è portato dietro senza meriti per una vita, Libero, proprio lui che prende in giro il bisogno di controllo della figlia, sembra infine aver conquistato la libertà.”

 

“Il nuovo Libero Scotto mi incuriosisce.”

 

"Il padre gli dice: 'Mi devi portare a Procida, ho una cosa molto importante da fare.' Alla luce dei lampioni sembra avere un volto più umano, pieno di increspature e debolezze che evidentemente non riesce a dissimulare come un tempo. Anche gli occhi, in genere neri e inespressivi come quelli dei pescecani, ora appaiono sbiaditi e danno ospitalità a una serie di venature scarlatte. Le iridi, poi, hanno dentro un inconsueto bagliore al quale non ero abituato.”

 

“...mi accorgo che ha gli occhi velati di lacrime; lo strano luccichio ora è affogato nel pianto trattenuto di un uomo che d’improvviso è costretto a scoprire le sue fragilità dinanzi al figlio.” Andrea decide così di accompagnare suo padre a Procida.

 

Arriva il momento di tornare, perché tutto quello che hai lasciato per non sentire il dolore si è portato via anche i momenti belli, quelli che ti ammorbidiscono un po’ la vita e ti fanno sentire in pace.

La nonna lo diceva: “Quando travasi una pianta, devi fare attenzione a non tirar via tutta la terra insieme alle radici. Sennò non resta niente e non puoi più tornare.”

 

L’isola lo accoglie con tutti i suoi profumi: i limoni maturi, i capperi ed i fichidindia ed insieme ai profumi riemergono anche i ricordi. I ricordi di sua madre: affettuosa e allegra, c’erano i giorni sì ed i giorni no, che lei passava a letto per dei forti mal di testa. E suo padre “che ogni tanto sbarcava nella nostra vita, impartiva qualche lezione e prendeva di nuovo il largo verso altre terre.”

 

Andrea adesso è un adulto e scopre un padre fragile e malato, ma anche più libero da quelle rigidità che lo avevano fatto soffrire da bambino.

 

L'isola gli ha fatto riscoprire i ricordi belli, quelli che ti fanno prendere decisioni importanti, quelli che ti fanno dare una nuova direzione alla tua vita. E questo nuovo padre, meno austero e più libero, potrà lasciargli l’insegnamento più importante.